Incarichi legali per la PA: sono comunque appalti pubblici

La sentenza del Consiglio di Stato: gli incarichi legali sono contratti non estranei ma esclusi dall'obbligo di gara pubblica, ma comunque soggetti a CIG e vigilanza ANAC

di Redazione tecnica - 07/04/2025

Si conferma l’obbligo per gli avvocati che prestano servizi legali per le pubbliche amministrazioni, di rispettare specifici adempimenti relativi agli appalti pubblici, quali la partecipazione alla preventiva procedura comparativa, la comunicazione del Codice Identificativo di Gara (CIG) e il versamento del contributo ANAC.

A precisarlo è il Consiglio di Stato, con la sentenza del 2 aprile 2025, n. 2776, con cui ha fornito degli interessanti chiarimenti sulla disciplina da applicare nella nella regolamentazione dei servizi legali per la PA, che hanno natura pubblicistica.

Incarichi legali per la PA: la distinzione tra contratti “esclusi” e “estranei” all'obbligo di gara

Punto di partenza è il ricorso presentato dal Consiglio Nazionale Forense, secondo cui i patrocini legali dovrebbero essere considerati contratti di prestazione d’opera professionale “estranei” alla disciplina degli appalti pubblici. Il Consiglio di Stato ha respinto tale impostazione, ribadendo che non esiste una categoria di contratti “estranei”, ma soltanto quella dei contratti “esclusi”.

La distinzione è di particolare rilevanza: i contratti esclusi, spiega Palazzo Spada, come quelli relativi ai servizi legali, sono sottratti all’obbligo di gara pubblica, ma non per questo sfuggono alla qualificazione di appalti pubblici. L’art. 56 del d.Lgs. n. 36/2023 conferma infatti che i servizi legali rientrano negli appalti pubblici, sebbene con modalità di affidamento peculiari. In altre parole, mentre la procedura di evidenza pubblica può non essere obbligatoria, la natura pubblica del contratto rimane inalterata.

L’obbligo di “evidenza pubblica” riguarda in ogni caso il procedimento da applicare per individuare il soggetto chiamato a contrarre con la PA. Come ricorda il Consiglio di Stato,  l’art. 3 dell’Allegato I.1. al decreto legislativo n. 36 del 2023 prevede sia la procedura di evidenza pubblica, sia l’affidamento diretto. Entrambe le procedure sono poi dirette alla stipula finale di un contratto di “appalto pubblico”, ossia quei “contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra uno o più operatori economici e una o più stazioni appaltanti e aventi per oggetto l'esecuzione di lavori, la fornitura di beni o la prestazione di servizi” [art. 2, comma 1, lettera b), del citato Allegato I.1.];

Il ruolo dell’ANAC e la questione della vigilanza

Un ulteriore punto contestato riguardava l’estensione della vigilanza dell’ANAC ai contratti di patrocinio legale. I ricorrenti hanno sostenuto che, essendo prestazioni d’opera professionale fondate sull’intuitus personae, tali incarichi non dovrebbero essere sottoposti all’autorità di regolazione del settore degli appalti pubblici.

A essere coinvolta è la natura fiduciaria degli incarichi legali, dato che la scelta di un avvocato da parte di un’amministrazione pubblica non può essere ridotta a un mero criterio economico, poiché entrano in gioco fattori come l’esperienza e la specializzazione professionale.

Tuttavia, la sentenza chiarisce che questo elemento non esclude l’applicazione dei principi generali in materia di appalti. Infatti, anche nel caso di affidamento diretto, l’amministrazione deve comunque rispettare criteri minimi di trasparenza e concorrenza, attraverso strumenti come la rotazione degli incarichi o l’istituzione di elenchi di professionisti qualificati.

I servizi legali, pur essendo “esclusi” dall’obbligo di evidenza pubblica, restano soggetti alle norme sulla tracciabilità e al controllo dell’ANAC. La sentenza richiama a tal proposito l’art. 222, comma 3, del D.Lgs. n. 36/2023, il quale afferma esplicitamente che l’ANAC “vigila sui contratti pubblici […] nonché sui contratti esclusi dall’ambito di applicazione del codice”.

La ratio di questa previsione è chiara: evitare un uso distorto dell’affidamento diretto, garantendo che anche laddove non vi sia gara pubblica siano rispettati i principi di concorrenza, imparzialità e trasparenza. Di conseguenza, il pagamento del contributo ANAC non è una misura arbitraria, ma una diretta conseguenza della sottoposizione di questi contratti alla vigilanza dell’Autorità.

Stesso criterio sotteso alla comunicazione del Codice Identificativo di Gara (CIG): si tratta di un elmento che risponde a esigenze di tracciabilità dei flussi finanziari, un principio cardine nella gestione delle risorse pubbliche. Come evidenziato dall’ANAC nelle proprie linee guida, la normativa in materia di tracciabilità si applica a tutte le transazioni economiche delle PA, indipendentemente dall’obbligo di gara.

Conclusioni

L'appello, in conclusione, è stato respinto: seppur con le dovute specificità, gli incarichi legali della PA non sfuggono ai principi fondamentali della regolazione pubblicistica, motivo per cui l’ANAC ha piena legittimità a esercitare la propria funzione di vigilanza anche sui contratti esclusi e che il principio di tracciabilità  tramite CIG si applica indistintamente a tutte le transazioni finanziarie delle amministrazioni pubbliche

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