Permesso di costruire e autotutela oltre i termini: quando l’omissione del privato non basta
Il Consiglio di Stato chiarisce le possibilità di annullamento di un titolo edilizio oltre i termini di legge e l’efficacia del titolo stesso in assenza di autorizzazione paesaggistica
Fino a che punto l'omessa dichiarazione di un vincolo paesaggistico da parte del privato può giustificare l’annullamento in autotutela di un permesso di costruire oltre i termini di legge? E cosa accade quando il vincolo risulta comunque facilmente conoscibile dalla pubblica amministrazione?
A queste domande ha risposto il Consiglio di Stato con la sentenza n. 1702 del 26 febbraio 2025 che affronta nuovamente una questione tutt’altro che banale, destinata ad avere un impatto significativo sulla gestione amministrativa dei titoli edilizi: l’interferenza tra disciplina paesaggistica e poteri di autotutela della P.A., con particolare riguardo all’art. 21-nonies della legge n. 241/1990.
L'annullamento d’ufficio oltre i termini
Il caso concreto riguarda un permesso di costruire rilasciato nel 2020 e poi annullato in autotutela nel 2022 per la presunta violazione di un vincolo paesaggistico di inedificabilità assoluta.
Come noto, l’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 disciplina l’annullamento d’ufficio del provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza. In particolare, il comma 1 vigente “ratione temporis” impone un termine massimo di 18 mesi (oggi 12 mesi) per l’annullamento d’ufficio dei provvedimenti illegittimi. Tuttavia, il successivo comma 2-bis introduce un’eccezione nei casi di falsa rappresentazione dei fatti da parte del privato: “I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall'amministrazione anche dopo la scadenza del termine di dodici mesi di cui al comma 1, fatta salva l'applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445”.
Nel caso in esame, il Comune ha giustificato l’intervento tardivo di annullamento in autotutela in base al comma 2-bis, sostenendo che l’istante avrebbe taciuto la presenza del vincolo di inedificabilità paesaggistica.
Una tesi che ha convinto il tribunale di primo grado secondo cui nel caso di specie:
- non avrebbe trovato applicazione il limite temporale per l’annullamento del permesso di costruire sulla base del rilievo secondo cui i richiedenti, nella loro domanda, avrebbero taciuto il fatto che l’immobile fosse inserito in una zona di rispetto e che, in conformità con il piano paesaggistico, la medesima zona fosse soggetta a vincolo di inedificabilità assoluta in relazione alla costruzione fuori terra di nuovi edifici;
- sarebbero stati presenti tutti i presupposti per l’adozione dell’atto di ritiro.
Tuttavia, le decisioni dei tribunali di primo grado (qualora appellate) devono trovare conferma anche in secondo grado e, in questo caso, il Consiglio di Stato ha chiarito che non può considerarsi “falsa rappresentazione” l’omessa dichiarazione su un vincolo che costituisce un elemento essenziale dell’istruttoria e che era già conosciuto o agevolmente conoscibile dall’Amministrazione. In altri termini, il Comune non può invocare l’ignoranza di un dato urbanistico e paesaggistico di cui avrebbe dovuto tener conto nella fase endoprocedimentale.
Questa impostazione è coerente con la funzione istruttoria affidata all’Amministrazione, come previsto dall’art. 6 della legge n. 241/1990 e dall’art. 20 del d.P.R. n. 380/2001, e con la giurisprudenza consolidata in materia.
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