Campi da padel: strutture leggere, ma non troppo
Il TAR Liguria interviene su una variante urbanistica per la realizzazione di campi da padel, considerati dall’Amministrazione come “manufatti leggeri”
Il campo da padel rappresenta una struttura temporanea, un manufatto leggero che non aumenta il carico urbanistico? Oppure va considerato a tutti gli effetti come un intervento di nuova costruzione, assentibile solo se previsto dagli strumenti urbanistici in vigore?
Campi di padel: strutture leggere o nuova costruzione?
A chiarire la qualificazione dell’intervento (e le condizioni per la sua legittimità) è il TAR Liguria con la sentenza del 25 marzo 2025, n. 331, con la quale è intervenuto sul ricorso presentato contro una delibera comunale che aveva modificato le norme tecniche di attuazione del PUC, per consentire la realizzazione di impianti sportivi di padel coperti, con spogliatoi, servizi e tribune, realizzati in un’area vincolata, ricadente tra l’altro in zona allagabile e attraversata da un corso d’acqua tombinato.
Secondo i giudici amministrativi, l’intervento approvato dal Comune non poteva essere inquadrato come semplice “manufatto leggero e smontabile”, ma costituiva a tutti gli effetti una nuova costruzione ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e.5) del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), che riconduce agli interventi di nuova costruzione, tra l’altro, la “installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulotte, camper, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”.
“La struttura progettata – si legge in sentenza – comporta opere in cemento armato, coperture, fondazioni, tribune e spogliatoi; si tratta di un insediamento destinato a durare nel tempo e idoneo a modificare stabilmente l’assetto urbanistico-edilizio del territorio”.
No a varianti urbanistiche "mascherate"
Di conseguenza, l’intervento avrebbe dovuto seguire la procedura ordinaria di variante urbanistica ai sensi dell’art. 44 L.R. Liguria n. 36/1997, e non quella semplificata disciplinata dall’art. 43, prevista per gli aggiornamenti non sostanziali.
Nel dettaglio, la delibera aveva aggiunto nelle norme tecniche del PUC una nuova lettera j) all’art. 11.23, estendendo il concetto di “manufatto diverso da edificio” anche agli impianti sportivi “leggeri e trasparenti”, comprensivi di spogliatoi e locali tecnici.
Secondo il TAR, si tratta di una forzatura concettuale e normativa: l’intervento non solo non è smontabile nei fatti, ma comporta un aumento del carico urbanistico e una trasformazione edilizia rilevante, in contrasto con la destinazione di “conservazione” propria degli ambiti AC-VU.
Si tratta di un intervento perfettamente calzante alla definizione legislativa di “nuova costruzione” ricomprende specificamente l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere che siano utilizzati come abitazioni o ambienti di lavoro, ovvero con permanenza di persone, con la sola eccezione di quelli che siano “diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”.
L’aggiornamento normativo, presentato come intervento meramente ricognitivo, ha in realtà modificato in modo sostanziale la disciplina urbanistica dell’intero ambito, consentendo interventi prima vietati.
La conseguenza: invalidità derivata delle autorizzazioni edilizie
A seguito dell’annullamento della delibera urbanistica, il TAR ha dichiarato illegittima anche la determinazione dirigenziale con cui era stato approvato un progetto “ridotto” ma fondato sulla medesima norma modificata.
Il principio di invalidità derivata si applica in pieno: se la norma urbanistica che consente l’intervento è illegittima, anche gli atti edilizi che su di essa si fondano devono considerarsi nulli o annullabili, indipendentemente dalla portata materiale del progetto.
Il principio affermato dal TAR: anche gli impianti sportivi sono nuove costruzioni
La sentenza chiarisce quindi definitivamente che gli impianti sportivi – anche se leggeri o prefabbricati - possono rientrare nel concetto di nuova costruzione, ove implichino:
- alterazione stabile del suolo o del volume edificato;
- dotazioni impiantistiche e strutturali permanenti;
- incremento del carico urbanistico;
- modifica dell’assetto urbanistico di un’area soggetta a vincoli.
Pertanto, non è sufficiente etichettare un’opera come “smontabile” per sottrarla ai vincoli ordinari in materia di zonizzazione, VAS, disciplina idrogeologica o paesaggistica.
Il ricorso è stato quindi accolto: il caso dimostra che in urbanistica non basta cambiare le etichette per aggirare i vincoli di piano, in favore di una lettura più rigorosa e sistemica dei concetti di manufatto edilizio, nuova costruzione e variante urbanistica, soprattutto in un contesto sempre più sensibile alla tutela del paesaggio, del verde urbano e del rischio idrogeologico.
Documenti Allegati
Sentenza