La demolizione edilizia tra legalità urbanistica e tutela dei diritti fondamentali

Contributo del Consigliere del TAR Campania Luca Cestaro sul regime delle sanzioni urbanistico-edilizie e il principio di proporzionalità alla luce del diritto sovranazionale

di Redazione tecnica - 07/05/2025

Nel sistema italiano, l’ordinanza di demolizione prevista dall’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia o TUE) è configurata come una misura vincolata, diretta al ripristino dell’ordine urbanistico violato. La giurisprudenza amministrativa ha chiarito più volte che in presenza di interventi realizzati in assenza o in totale difformità dal titolo edilizio, l’amministrazione non dispone di alcun margine di discrezionalità: l’adozione dell’ordine è doverosa.

La demolizione edilizia: il contributo del TAR Campania

Benché il principio sia ormai pacifico, esistono alcuni profili di forte complessità, soprattutto quando il ripristino urbanistico incide sul diritto all’abitazione. Ne scrive Luca Cestaro (Consigliere del TAR Campania) nell’interessante contributo “Il regime delle sanzioni urbanistico-edilizie e principio di proporzionalità alla luce del diritto sovranazionale” di Luca Cestaro (Consigliere del TAR Campania) che definisce la demolizione/rimessione in pristino di cui al citato art. 31 come “misura repressiva e non sanzionatoria”, diversamente dall’acquisizione gratuita al patrimonio comunale (art. 31, comma 3).

Art. 27 vs art. 31 TUE: due regimi diversi

Il Testo Unico Edilizia distingue chiaramente tra due logiche repressive. L’art. 27 disciplina la vigilanza ordinaria sull’attività edilizia, attivabile anche per difformità parziali o per violazioni alle prescrizioni urbanistiche. Le misure adottabili sono flessibili: sospensione, ripristino, sequestro. Nessuna acquisizione automatica è prevista.

Diversamente, l’art. 31 si applica agli abusi radicali e impone un percorso obbligato: ordine di demolizione, acquisizione gratuita dell’immobile in caso di inottemperanza, eventuale sanzione pecuniaria. È qui che si inserisce il problema: una misura di ripristino che, per modalità ed effetti, rischia di assumere un contenuto sanzionatorio in senso sostanziale.

Rimessione in pristino: sanzione o misura tecnica?

Formalmente, l’ordine di demolizione non è una sanzione in senso stretto. Non punisce, ma ripristina l’ordine violato. Non richiede dolo, si applica anche agli aventi causa, e non presuppone alcuna valutazione soggettiva. Tuttavia, secondo i criteri elaborati dalla Corte EDU, la sua natura afflittiva ne potrebbe giustificare una diversa lettura. La Corte, però, ha escluso che si tratti di una sanzione penale ai fini convenzionali.

Ne consegue che il principio di proporzionalità, inteso come criterio di commisurazione della “pena” alla gravità del fatto, non trova spazio nella fase di adozione dell’ordine. Non si applica il bilanciamento tipico della discrezionalità amministrativa. La demolizione è un atto vincolato, giustificato dall’accertamento dell’abuso.

Il principio di proporzionalità nella fase esecutiva

Il tema cambia prospettiva nella fase esecutiva. La Corte EDU ha affermato che la perdita della propria abitazione, anche se abusiva, è una delle forme più gravi di ingerenza nel diritto al domicilio (art. 8 CEDU). E ha chiarito che, in tali casi, è necessario un controllo giurisdizionale individualizzato sulla proporzionalità della misura.

Le sentenze Ivanova and Cherkezov c. Bulgaria e Kaminskas c. Lithuania hanno tracciato una linea chiara: la demolizione può essere legittima, ma occorre valutare, caso per caso, la consapevolezza dell’abuso, la disponibilità di alloggi alternativi, la presenza di minori, le condizioni socio-economiche.

In Italia, questa lettura è stata recepita dal giudice penale, che oggi è tenuto a effettuare una verifica concreta nella fase esecutiva della demolizione ordinata con la sentenza di condanna. Il solo fatto che l’immobile costituisca l’unica abitazione non basta a bloccare l’esecuzione: serve una puntuale allegazione di elementi rilevanti, e l’attivazione diligente da parte dell’interessato.

Il ruolo del giudice amministrativo e la fase cautelare

Anche la giurisprudenza amministrativa, pur ribadendo il carattere vincolato dell’atto, ha riconosciuto che il bilanciamento tra diritto all’abitazione e legalità urbanistica può trovare spazio nella fase cautelare o esecutiva.

In sede cautelare, ad esempio, può essere concessa una sospensione dell’ordine per un tempo congruo, utile a trovare soluzioni abitative alternative. È un meccanismo già sperimentato nei giudizi relativi a sgomberi coatti, soprattutto in presenza di minori o soggetti vulnerabili. Questo orientamento, pur non codificato, può essere applicato anche nei casi di demolizione.

La fase esecutiva, invece, solleva problemi di giurisdizione. Le Sezioni Unite tendono a ricondurre l’esecuzione della demolizione a un comportamento materiale, soggetto alla giurisdizione ordinaria. Tuttavia, il Consiglio di Stato ha riconosciuto margini di valutazione sull’“an” e sul “quando” procedere, valorizzando il ruolo dell’amministrazione anche nell’attuazione di provvedimenti vincolati.

L’acquisizione e il problema del doppio binario

Particolarmente delicato è il tema dell’acquisizione gratuita al patrimonio comunale ex art. 31, comma 3. Si tratta di una misura che opera automaticamente, ipso iure, decorso il termine di 90 giorni dall’ingiunzione di demolizione. L’Adunanza Plenaria ha chiarito che la perdita del bene è irreversibile e impedisce al proprietario persino di presentare domanda di sanatoria.

La misura è stata qualificata dalla Corte costituzionale come una sanzione autonoma, da applicare solo a soggetti responsabili dell’inottemperanza. Non ha funzione ripristinatoria, bensì afflittiva. In questa logica, l’acquisizione deve rispettare il principio di proporzionalità, soprattutto quando l’immobile, seppur abusivo, risulta oggi conforme alla normativa vigente.

La proroga come strumento di bilanciamento

A seguito delle pressioni della giurisprudenza sovranazionale, il legislatore ha introdotto una novità importante: la possibilità per il Comune di prorogare il termine di 90 giorni fino a un massimo di 240, in presenza di gravi condizioni di salute, assoluto bisogno abitativo o disagio socio-economico.

La norma, introdotta nel 2024, rappresenta un primo segnale di adeguamento dell’ordinamento interno al principio di proporzionalità, senza intaccare l’impianto repressivo. Il tempo diventa così uno strumento per rendere compatibile l’esecuzione della sanzione con la tutela dei diritti fondamentali.

Per i tecnici, questo significa adottare un approccio documentale più attento, segnalando sin dall’inizio eventuali condizioni soggettive che potrebbero legittimare una sospensione o una proroga motivata dell’ordine. Non per evitare il ripristino, ma per garantire che esso avvenga nel rispetto dei diritti fondamentali della persona.

In allegato lo studio completo del Consigliere del TAR Campania.

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