Silenzio-assenso: il diritto urbanistico tra progresso e resistenze feudali
Con l’introduzione dell’art. 36-bis al d.P.R. n. 380/2001, il Legislatore ha deciso di estendere il meccanismo del silenzio-assenso alle pratiche di sanatoria semplificata
Come ormai noto, il d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), aggiornato dalla Legge n. 105/2024 di conversione del D.L. n. 69/2024 (Salva Casa), ha introdotto importanti novità nel panorama edilizio italiano, tra cui l'estensione del meccanismo del silenzio-assenso anche alle pratiche più delicate come i Permessi di Costruire e le SCIA in sanatoria.
Sanatoria semplificata e silenzio assenso
Una semplificazione necessaria, anche se appena sufficiente, attesa da anni, che segna un piccolo passo in avanti verso l’efficienza, la certezza del diritto, sulla scia di quanto sottolineato dalla Corte Costituzionale che, con sentenza n. 207 dell’8 luglio 2021, evidenza che le operazioni di semplificazione della PA devono essere volte ad “impedire che le funzioni amministrative risultino inutilmente gravose per i soggetti amministrati”.
Si tratta di un istituto che, se correttamente applicato, protegge il cittadino e il professionista dalla storica inerzia della pubblica amministrazione. Il silenzio-assenso consente infatti che, in mancanza di un provvedimento esplicito entro i termini stabiliti, la richiesta si intenda accolta, ponendo un argine a quella burocrazia che storicamente ha bloccato iniziative legittime, generato contenziosi e scoraggiato gli investimenti.
Si schematizzano in basso le procedure ove si applica il silenzio-assenso.
Silenzio-assenso – Decreto Salva Casa 2024
Procedura |
Si applica il silenzio-assenso? |
Termine |
Note principali |
---|---|---|---|
Permesso di costruire in sanatoria (art. 36-bis, co. 6) |
Sì |
45 giorni |
Decorrono dalla presentazione completa dell’istanza. |
SCIA in sanatoria (art. 36-bis, co. 6 secondo capoverso) |
Sì |
30 giorni* |
Vale se non ci sono richieste/inibizioni entro il termine. |
P.d.C. presentato in luogo della SCIA |
Sì |
75 giorni |
Vedi Art. 20 commi 8 e 11 e art. 22 co. 7 |
Permesso di costruire ordinario |
Sì (già previsto) |
60 giorni** |
Come da DPR 380/2001, art. 20 comma 3 e 8 |
SCIA ordinaria |
Nì (già previsto nel titolo) *** |
Immediato |
Efficace dal momento della presentazione; controlli nei 30 giorni successivi. |
Sanatoria su immobili vincolati |
Sì, ma solo per parere vincolante |
90 giorni |
Silenzio-assenso per parere della Soprintendenza, se non rilasciato nei tempi. |
* si applica il termine di cui all’articolo 19, comma 6-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241
** nella interpretazione più restrittiva 60 + 30 gg ovvero 90gg
*** L’attività dichiarata con SCIA può iniziare senza la necessità di un consenso formale da parte dell’amministrazione
Tuttavia, siamo ancora lontani da un vero cambio di paradigma.
I colleghi nei gruppi e nelle pagine Facebook, ci segnalano che alcuni Uffici Tecnici, sembrano ignorare o, peggio, volontariamente disattendere il nuovo impianto normativo, vuoi per diversi aspetti lasciati irrisolti, vuoi per altri che richiedono interpretazioni etc. vuoi per mancato aggiornamento; in ogni caso, ahimè si legge anche che alcuni tecnici comunali reagirebbero alla formazione del silenzio-assenso come se si trattasse di un affronto personale, una sorta di “lesa maestà” amministrativa.
Eccesso di potere discrezionale della PA
Molte norme italiane, soprattutto in materia urbanistica ed edilizia, sono scritte in modo discordante, non univoco, lasciando margini di interpretazione ampissimi che:
- favoriscono disparità di trattamento tra cittadini;
- rallentano i procedimenti per paura di errori o contenziosi;
- accentuano la posizione dominante del dirigente pubblico, spesso oltre i limiti del buon senso o della funzione di servizio.
La conseguenza umana di tutto ciò è che, genericamente discorrendo e senza entrare in nessun caso in particolare, l’eccesso di potere discrezionale in mancanza di adeguati controlli e delegato da leggi e decreti manchevoli di chiarezza: può degenerare in abusi o arbitrarietà; rende complicato pianificare interventi privati o anche pubblici (urbanistica, edilizia, commercio), sia a breve che a lungo termine, ma soprattutto mina la fiducia dei cittadini e dei professionisti nel sistema e addirittura fortemente scoraggia gli atteggiamenti virtuosi e rispettosi della legalità, incoraggiando invece l’abusivismo , il lavoro in nero e attività non conformi al dettato normativo etc.
Di fronte a una pratica perfezionata per decorrenza dei termini, anziché prenderne atto e procedere secondo legge, i professionisti tecnici lamentano, talvolta, un atteggiamento ritorsivo: si agita lo spettro dell’autotutela, si minaccia la possibilità di revoca, si insinua la non conformità, spesso senza motivazioni reali e solide e in assenza dei presupposti giuridici richiesti; magari si tratta invece e semplicemente della non “conformità” ad un modus di pensare che deve essere ormai considerato superato ed escluso dai confini normativi.
L’autotutela
È bene ricordarlo: l'autotutela non è uno strumento discrezionale o punitivo. Può essere attivata solo quando ricorrono elementi specifici gravi, oggettivi e chiari, per esempio l’illegittimità evidente o la sopravvenienza reale e da dimostrare, degli intervenuti primari interessi pubblici, e non certo come reazione alla “lesa maestà” di un professionista che ha legittimamente richiamato una legge di stato.
Ebbene fare attenzione poiché se un dirigente dell'ufficio tecnico ha adottato un provvedimento illegittimo (anche in autotutela) con il rigetto di una istanza edilizia e questo ha causato un danno ingiusto a un privato, potrebbe essere chiamato a rispondere in solido del danno per:
Responsabilità amministrativa e danno erariale
Se il provvedimento illegittimo causa un danno economico all'amministrazione pubblica (es. spese legali, risarcimenti), la Corte dei Conti può valutare se c'è responsabilità del dirigente per danno erariale.
Responsabilità civile verso terzi
Un cittadino può agire per il risarcimento del danno subito per effetto di un atto illegittimo. In tal caso:
- L'amministrazione risponde in prima battuta.
- L'ente può poi rivalersi sul dirigente.
Abuso penale
L’esercizio dell’autotutela se viene usato in modo arbitrario o discriminatorio, può configurarsi reato penale, soprattutto se vi è:
- Violazione evidente della legge,
- Intenzionalità nel danneggiare il privato.
Una volta perfezionatosi il silenzio-assenso, cosa accade
L’art. 36-bis, comma 6, del D.P.R. 380/2001 è chiaro: una volta perfezionatosi il silenzio-assenso, ogni successiva determinazione amministrativa contraria è inefficace, e pertanto ai sensi del combinato disposto art. 20, comma 8 del D.P.R. n. 380/2001 e articolo 20 comma 2-bis della Legge 241/90 l’Ufficio tecnico a quel punto deve seguire la procedura ovvero entro quindici giorni dalla richiesta dell’interessato “rilasciare, in via telematica, un'attestazione circa il decorso dei termini del procedimento e pertanto dell'intervenuto accoglimento della domanda ai sensi del presente articolo. Decorsi inutilmente dieci giorni dalla richiesta, l'attestazione è sostituita da una dichiarazione del privato ai sensi dell'articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445”.
Silenzio consenso anche in assenza della piena conformità edilizia
Anche nella recentissima sentenza del 13 marzo 2024, n. 2459 del Consiglio di Stato, Sez. VI, si evince che “una volta decorso il termine, il potere primario di provvedere si consuma e non vi è più spazio per l’adozione di un diniego tardivo, oggi espressamente considerato “inefficace” a mente dell’art. 2, comma 8-bis, della legge n. 241 del 1990”;
La sentenza chiarisce che il silenzio-assenso si perfeziona indipendentemente dalla piena conformità o meno dell’istanza di concessione di un titolo edilizio alla disciplina edilizio-urbanistica vigente, in quanto equivale ad un provvedimento espresso di accoglimento ed è, pertanto, assoggettato al medesimo regime giuridico.
La grande anomalia italiana
In nessun altro Paese europeo si assiste a un uso così estremo della funzione autorizzativa della PA. In Italia, ogni intervento, seppur minimo o quasi insignificante — come l’ampliamento di una finestra, la chiusura a veranda di un piccolo balcone o persino la realizzazione di una semplice intercapedine semi interrata attorno ad un edificio — deve previamente affrontare un labirinto burocratico, confrontarsi con un groviglio di norme fatto di autorizzazioni, pareri, verifiche, sopralluoghi e timbri, che rimbalzano da un ufficio all’altro. Il cittadino viene trattato come se la sua proprietà fosse cosa pubblica.
E non è tutto: sono le stesse norme ad impedire, di fatto, molte libertà costruttiva. Anche un’intercapedine, un sottotetto o un terrazzo vengono automaticamente considerati superficie utile, con conseguenze sul classamento e sulla rendita catastale, quindi sull’IMU, sulla Tari, sulle bollette etc. Il risultato è che un piccolo ampliamento può far lievitare la classificazione dell’immobile, far scattare oneri di urbanizzazione e costi di costruzione aggiuntivi, fino al paradosso di trasformare, “su carta”, la casa o la masseria di un contadino o di un pensionato in un’abitazione di “lusso” – si veda, per fare un esempio, il D.M. n. 1072 del 2 agosto 1969 – perdendo così le detrazioni fiscali sulla ristrutturazione o altri bonus edilizi, la riduzione dell’iva al 10%, l’esenzione dal pagamento dell’IMU anche se prima casa etc. vedi TUIR (DPR 917/1986) – Art. 16-bis, comma 1.
Così si arriva all’assurdo: un pensionato con 1.000 euro al mese, o un cittadino che guadagna 1.200 euro ma ha bisogno di qualche stanza in più per esigenze sue personali di vita, viene trattato dallo Stato come un miliardario. Una follia grottesca che sancisce un principio inquietante: in Italia, solo i ricchi possono permettersi le più semplici comodità o piccoli spazi abitativi che, altrove nel mondo, non verrebbero nemmeno notati.
Ne deriva una pessima qualità della vita, una stasi economica, un forte disincentivo agli investimenti in immobili, e alle ristrutturazioni, un danno importante per l’intera filiera edilizia che, ricordiamolo, rappresenta uno dei più potenti moltiplicatori economici nazionali.
L’edilizia non è solo fatta di mattoni: è manifattura, trasporti, energia, design, ricerca, innovazione, occupazione; si muovono con la filiera edilizia, innumerevoli figure artigiane: piastrellisti, elettricisti, idraulici, fabbri, falegnami, asfaltisti, guainisti, carpentieri, intonachisti, pittori, cartongessisti, vetrai, ponteggiatori, serramentisti, autisti, impiantisti, frigoristi, mobilieri, e poi i professionisti, come architetti, ingegneri, geometri, geologi, periti, e naturalmente imprese edili, di trasporto e logistica di materiali, il settore bancario e assicurativo (mutui, fideiussioni, assicurazioni tecniche), la filiera del cemento, dei laterizi, dell’acciaio, del vetro, degli isolanti, delle vernici, del legno, etc. con una mobilitazione economica, che genera una quota diretta sul PIL: tra il 9% e il 10% e con una quota indiretta e indotta (produzione di materiali, impianti, logistica, trasporti, servizi professionali, finanziari e assicurativi collegati), che può arrivare al 20% del PIL; con una occupazione: di oltre 2 milioni di occupati diretti e almeno altri 2 milioni indiretti, che generano un effetto moltiplicatore: ogni euro investito in edilizia genera da 1,5 a 3 euro di PIL nel medio periodo.
Edilizia libera: è la soluzione?
L’edilizia libera è la soluzione alle criticità burocratiche del sistema autorizzativo?
Assolutamente NO. Al contrario, si auspica più libertà di trasformazione, ma sempre accompagnata da maggiore responsabilità tecnica e minor arbitrio burocratico;
è necessario ridurre il numero di interventi ammessi in edilizia libera e riportare ogni trasformazione edilizia sotto il controllo OBBLIGATORIO responsabile di professionisti tecnici abilitati e competenti.
Ciò significa maggiori potenzialità di operare trasformazioni edilizie, manutenzioni ordinarie straordinarie, ristrutturazioni, permessi di costruire, ma senza l’ossessiva burocratizzazione e complicazione delle procedure e senza il pedissequo controllo approvativo da parte della PA, garantendo al contempo la sicurezza, la qualità e la conformità dei cambiamenti del territorio.
Il Decreto Salva Casa come minuscola inversione di tendenza?
Con l’introduzione del silenzio-assenso anche in ambito sanzionatorio e repressivo (sanatorie), il legislatore cerca per la prima volta in modo netto di:
- ridurre il potere bloccante, benché inconsapevole, della PA;
- restituire centralità al cittadino che paga le tasse,
- stimolare la certezza giuridica la velocizzazione dei procedimenti amministrativi e la trasparenza;
- stimolare una cultura della responsabilità tecnica e della regolarizzazione piuttosto che della mera penalizzazione giustizialista.
È un piccolissimo ma significativo passo verso una PA più utile e meno autoritaria, in cui i termini e le norme vincolano e disciplinano non solo tecnici e cittadini ma anche chi le applica.
È tempo di ribaltare la logica incancrenita, come?
Occorre una visione legislativa più coraggiosa e coerente che abbia come obiettivo il rilancio economico, il lavoro, la modernizzazione del territorio. Serve:
- Una tangibile riduzione degli iter approvativi, affidando maggior fiducia alle capacità e competenze dei professionisti abilitati;
- Una revisione strutturale del testo unico dell’edilizia, che semplifichi e chiarisca realmente i procedimenti e li renda prevedibili ed agili e di impostazione meno giustizialista;
- L’accorciamento dei termini per il silenzio-assenso, specie nei casi di SCIA e sanatorie, dove l’urgenza decisionale è prioritaria;
- Una riduzione effettiva del potere di autotutela per i Comuni, con obbligo di motivazione stringente e trasparente;
- L’introduzione di un limite assoluto di 60 giorni entro cui l’ente può esercitare l’autotutela: decorso tale termine dal formarsi del silenzio-assenso, dal rilascio del permesso di costruire, o dalla presentazione di CILA, SCIA ordinaria o in sanatoria, l’autotutela non può più essere esercitata, al fine di garantire certezza del diritto del cittadino e la stabilità economica ed amministrativa;
- Un aumento delle tolleranze costruttive introdotte con l’art.34 bis, per evitare che minime discrepanze diventino ostacoli insormontabili;
- L’abolizione dell’autorizzazione sismica come atto separato, trasformandola in un automatismo conseguente al deposito strutturale;
- Il superamento dell’obbligatorietà del parere vincolante delle Soprintendenze, affidando la responsabilità delle relazioni paesaggistiche esclusivamente a professionisti qualificati nella materia;
- L’introduzione di meccanismi di responsabilità reale per i funzionari pubblici inadempienti, con sanzioni amministrative, risarcitorie e penali in caso di ritardi non giustificati;
- L’abolizione del principio di doppia conformità urbanistica ed edilizia anche per gli abusi gravi, poiché rappresenta un paradosso giuridico che nega ogni possibilità di regolarizzazione, anche in presenza di un contesto urbanistico ormai mutato e favorevole;
- La possibilità di ottenere la sanatoria quando l’intervento risulti conforme o alla normativa vigente al momento dell’istanza, o a quella in vigore al momento della realizzazione, superando così non solo la doppia conformità ma anche l’attuale principio illogico che nega la sanatoria ad interventi che al tempo erano perfettamente legittimi. Questo principio è sostanziale per rispettare le leggi vigenti al tempo dei fatti e garantire certezza del diritto;
- La drastica semplificazione dei modelli per la presentazione delle pratiche sismiche, oggi eccessivamente complessi, tanto da far perdere di vista l’essenza tecnico-progettuale dell’intervento. L’attuale sistema impone al professionista un’attenzione ossessiva alla compilazione di una esasperante e lunghissima modulistica burocratica, che viene disposta in una maglia rigida di caselle da barrare che non lascia spazio alla discrezionalità del professionista, allontanando di fatto il focus dal progetto, dalla sicurezza strutturale e dalla concretezza;
- La necessaria deresponsabilizzazione del professionista tecnico, che non può essere trasformato nel capro espiatorio di un sistema normativo elefantiaco e frammentario, fatto di codici, codicilli, regolamenti, rimandi, spesso in contrasto e soggetti a interpretazioni divergenti o a antitetiche;
- L’abrogazione totale e assoluta della discrezionalità tecnica degli uffici comunali, in particolare in materia di sanzioni, che devono essere comminate esclusivamente sulla base di quanto previsto dalla legge, senza interpretazioni soggettive. In caso di divergenza interpretativa tra l’istante e l’ufficio, deve sempre prevalere il principio della tutela del cittadino, favorendo interventi migliorativi, rigenerazione urbana e sviluppo economico-sociale.
In sintesi
Il legislatore deve avere il coraggio di fare enormi passi in più e in avanti. Occorre smettere di considerare il tecnico professionista - laureato, abilitato, specializzato in varie discipline con master etc, iscritto ad un Ordine professionale, fortemente formato ed aggiornato a seguito di corsi di formazione ormai obbligatori - come un soggetto da controllare e sanzionare e iniziare invece a fare sì che la PA possa e debba riconoscerlo come un interlocutore centrale, competente, garante della legalità, con il quale confrontarsi, interloquire, pensare, migliorare il rapporto con il cittadini e stimolare la crescita del territorio.
L’Italia deve finalmente divincolarsi e scrollarsi di dosso un sistema feudale ormai stratificato, incancrenito e spingersi verso una moderna edilizia di qualità, rapida e sostenibile per i cittadini e per fare ciò deve ascoltare le istanze dei professionisti del settore.
A cura di Arch. Pasquale Giugliano