Ante’ 67, nuova costruzione in area vincolata e doppia conformità: il no del TAR alla sanatoria
L’ante ’67 non giustifica qualsiasi ricostruzione: il TAR Campania conferma i limiti dell’accertamento di conformità e chiarisce la distinzione tra ristrutturazione e nuova costruzione
Quali limiti incontra l’accertamento di conformità in caso di demolizione e ricostruzione? Che valore ha la datazione "ante 1967" ai fini della legittimità edilizia? Quando un intervento può dirsi una ristrutturazione e quando invece è una nuova costruzione soggetta a vincoli più stringenti?
A queste domande ha risposto il TAR Campania con la sentenza del 25 giugno 2025 n. 1191, affrontando un caso emblematico di diniego di sanatoria ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia).
Sanatoria per nuova costruzione su area vincolata: quando non basta invocare l’ante ’67
Il caso nasce dal ricorso contro il diniego di accertamento di conformità opposto da un’Amministrazione Comunale per un fabbricato realizzato in parziale difformità rispetto a un immobile ante ’67, successivamente demolito e ricostruito con delocalizzazione parziale nel 1976.
Secondo il Comune, l’intervento avrebbe costituito non un intervento di demoricostruzione, ma la realizzazione di una nuova costruzione soggetta a vincoli paesaggistici e in contrasto con la disciplina urbanistica vigente. Il fabbricato ricostruito risultava infatti insistente su un’area vincolata ai sensi del d.lgs. n. 42/2004 (Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio), dove era vietata l’edificazione.
Una tesi che il TAR ha condiviso, come dimostra il chiarimento operato dal giudice amministrativo su alcuni principi chiave in materia di normativa edilizia e urbanistica relativi a:
- doppia conformità edilizia e urbanistica ex art. 36 d.P.R. n. 380/2001;
- edificazione "ante '67";
- differenza tra ristrutturazione e nuova costruzione nel caso di un intervento di demoricostruzione.
Accertamento di conformità: natura e limiti
Per comprendere la decisione del TAR, è utile ricordare che l’art. 36 del Testo Unico Edilizia consente la regolarizzazione di interventi realizzati senza titolo o in difformità, purché sussista la cosiddetta “doppia conformità”: l’opera deve risultare conforme:
- alla disciplina urbanistica vigente al momento della realizzazione;
- a quella vigente al momento della domanda.
Si tratta di un procedimento vincolato, in cui l’Amministrazione deve limitarsi ad accertare la sussistenza dei requisiti oggettivi. Non è prevista alcuna valutazione discrezionale di opportunità.
Nel caso esaminato, la doppia conformità mancava del tutto: l’intervento risultava vietato sia allo stato attuale, per la presenza del vincolo paesaggistico, sia al momento della ricostruzione, avvenuta comunque senza alcun titolo edilizio.
Immobili ante '67 e ricostruzione
Per gli immobili realizzati dopo il 1° settembre 1967, data di entrata in vigore della c.d. “Legge Ponte”, la legge n. 765/1967 ha introdotto l’obbligo di rilascio di concessione edilizia (diventata poi permesso di costruire) per le nuove costruzioni nei centri abitati, fatti salvi i regolamenti comunali già esistenti.
Se quindi quelli antecedenti vige una specie di presunzione di legittimità edilizia, tuttavia, la giurisprudenza ha chiarito che tale presunzione non vale in modo assoluto e non copre interventi successivi come ampliamenti, ricostruzioni, sopraelevazioni o mutamenti di destinazione d’uso non assentiti.
Come affermato dal TAR, «La sola asserita anteriorità alla legge Ponte non è sufficiente ad attribuire legittimità all’attuale consistenza edilizia». Nel caso di un intervento di demolizione e ricostruzione, è necessario accertare l’effettiva consistenza fisica del manufatto originario, non potendo attribuirsi la qualità di “ricostruzione” ad una nuova edificazione, priva di continuità strutturale e spaziale con l’edificio preesistente.
Demolizione e ricostruzione: non è sempre ristrutturazione edilizia
Un ulteriore passaggio centrale della sentenza riguarda la distinzione tra ristrutturazione edilizia e nuova costruzione. Ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d) del TUE, l’intervento di demolizione e ricostruzione può qualificarsi come ristrutturazione solo se rispetta volumetria, sagoma e localizzazione originaria (salvo le deroghe oggi previste in casi specifici).
Come riporta la sentenza, “la finalità ‘conservativa’ sottesa al concetto di ristrutturazione postula, pertanto, la possibilità di individuazione del manufatto preesistente come identità strutturale, già presente nella realtà materiale quale specifica entità urbanistico- edilizia esistente nella attualità. Deve, cioè, trattarsi di un manufatto che, a prescindere dalla circostanza che sia abitato o abitabile, possa essere comunque individuato nei suoi connotati essenziali, come identità strutturale, in relazione anche alla sua destinazione”.
Costituisce pertanto vera e propria costruzione ex novo e non già ristrutturazione, "la ricostruzione di un intero fabbricato, diruto da lungo tempo e del quale residuavano, al momento della presentazione dell'istanza del privato, solo piccole frazioni dei muri, di per sé inidonee a definire l'esatta volumetria della preesistenza, in quanto l'effetto ricostruttivo così perseguito mira non a conservare o, se del caso, a consolidare un edificio comunque definito nelle sue dimensioni, né alla sua demolizione e fedele ricostruzione, bensì a realizzarne uno del tutto nuovo e diverso”.
Quindi il rilascio di un titolo edilizio per procedere alla ristrutturazione è subordinato alla possibilità di individuare, in maniera pressoché certa, l'esatta cubatura e sagoma d'ingombro del fabbricato su cui intervenire; solo se è chiara la base di partenza, è possibile discutere l'entità e la qualità delle modifiche apportabili. Pertanto, costituisce nuova opera la ricostruzione su ruderi o su di un edificio già da tempo demolito (anche in parte) o diruto.
Nel caso affrontato, mancava qualunque elemento per ritenere la ricostruzione fedele al manufatto preesistente. Il TAR lo ha qualificato come un intervento del tutto autonomo, configurabile come nuova costruzione, soggetta a permesso di costruire e non sanabile ex art. 36, a maggior ragione in area vincolata.
La sentenza del TAR
Sulla base quindi di queste coordinate, il TAR ha respinto il ricorso, confermando la piena legittimità del rigetto e ribadendo un principio consolidato: nel procedimento ex art. 36 d.P.R. n. 380/2001 l’onere della prova, anche sull’esistenza ante ‘67 ricade integralmente sul richiedente, che deve dimostrare:
- la preesistenza del manufatto;
- la sua conformità agli strumenti urbanistici all’epoca della realizzazione;
- la conformità attuale alle previsioni vigenti.
Nel caso di specie, il ricorrente non ha fornito alcun elemento tecnico-probatorio idoneo a documentare la consistenza volumetrica, l’esatta localizzazione e la sagoma del presunto fabbricato ante '67.
Per altro, il TAR ha osservato che le riprese aerofotogrammetriche del 1987 mostravano la coesistenza del vecchio e del nuovo fabbricato, a riprova del fatto che non si trattava di una mera ricostruzione ma della realizzazione di un nuovo edificio.
Documenti Allegati
Sentenza