Demolizione abusi edilizi: nessuna tutela per i nuovi acquirenti incolpevoli
Con la sentenza n. 5318/2025 il Consiglio di Stato chiarisce che l’acquirente di un immobile abusivo risponde dell’abuso, anche se incolpevole e anche se le opere sono interne e risalenti
Chi acquista un immobile abusivo può evitare la demolizione se non ha realizzato l’opera? Il decorso del tempo può sanare una situazione illegittima? E la natura interna degli interventi può giustificare un trattamento diverso?
Il difficile equilibrio tra diritto di proprietà e legalità urbanistica
Nel contesto della disciplina edilizia, una delle questioni più delicate riguarda le conseguenze degli abusi edilizi nei confronti di chi subentra nella proprietà dell’immobile. A chiarire il punto interviene il Consiglio di Stato, che con la sentenza n. 5318 del 18 giugno 2025 ribadisce un principio essenziale: il nuovo acquirente risponde comunque dell’abuso, anche se incolpevole, anche se l’opera è risalente e anche se interna. Nessuna legittima aspettativa può fondarsi sul solo decorso del tempo o sull’ignoranza della situazione urbanistica.
La vicenda processuale
Tutto ha origine da un’ordinanza di demolizione adottata dal Comune ai sensi dell’art. 33, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), con cui si disponeva il ripristino dello stato dei luoghi a seguito dell’accertamento di un abuso edilizio. In particolare, si trattava della realizzazione, all’interno di un immobile vincolato sito nel centro storico della città, di un soppalco su due livelli collegati da scale, destinato a funzioni residenziali (soggiorno, angolo cottura e bagno), sovrastante un’autorimessa.
L’intervento, privo di qualsiasi titolo edilizio, veniva considerato una ristrutturazione edilizia eseguita in totale assenza di autorizzazioni, nonostante la particolare sensibilità del contesto, trattandosi di edificio sottoposto a vincolo culturale.
Il proprietario impugnava l’ordinanza davanti al TAR, sostenendo che le opere fossero preesistenti all’acquisto (risalenti al 1938) e che il Comune avesse omesso di avviare il contraddittorio prima dell’adozione del provvedimento. Inoltre, lamentava l’assenza di un’effettiva valutazione della propria posizione soggettiva, in quanto acquirente incolpevole.
Il TAR respingeva il ricorso, ritenendo legittima l’azione repressiva dell’amministrazione. La sentenza veniva quindi impugnata in secondo grado, ma il Consiglio di Stato ha confermato integralmente la decisione di primo grado, fornendo una motivazione articolata e aderente alla più recente giurisprudenza.
Il quadro normativo
La decisione si fonda su un quadro normativo e giurisprudenziale ampiamente consolidato:
- art. 33 del d.P.R. n. 380/2001 – Demolizione e ripristino per opere abusive;
- art. 21-octies, Legge 241/1990 – Esclusione dell’annullabilità per vizi formali in caso di atti vincolati;
- codice dei beni culturali (d.lgs. n. 42/2004) – Tutela estesa anche a opere interne in immobili vincolati.
Rilevante, oltre che consolidata, è inoltre la giurisprudenza sulla responsabilità oggettiva del proprietario in caso di abusi, anche non realizzati da lui.
Analisi tecnica della sentenza
Il Consiglio di Stato affronta in maniera chiara e sistematica le questioni sollevate dall’appellante, confermando un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato. Al centro della decisione vi è la natura vincolata dell’ordinanza di demolizione: quando un abuso viene accertato, l’amministrazione ha il dovere – non la facoltà – di ordinare il ripristino dello stato dei luoghi. Non è quindi necessaria una particolare motivazione, né tantomeno l’avvio del contraddittorio con il proprietario, dal momento che l’interesse pubblico alla legalità urbanistica è già insito nell’atto stesso.
Il ricorrente aveva cercato di far valere, tra le altre cose, la vetustà del manufatto, sostenendo che risalisse addirittura al 1938. Ma su questo punto il Consiglio di Stato è categorico: non è sufficiente una semplice dichiarazione o una generica affermazione per superare l'accertamento tecnico dell'abuso. La dimostrazione dell'epoca di realizzazione e della legittimità urbanistica deve essere rigorosa, documentata e inequivocabile. In assenza di prove, l’opera resta priva di titolo, e quindi abusiva.
Un altro aspetto importante riguarda la presenza del vincolo culturale. Anche se l’intervento è interno e non visibile dall’esterno, l’immobile è comunque sottoposto a tutela e qualsiasi modifica richiede il necessario titolo abilitativo. Il vincolo, infatti, non si limita alla sola facciata o alla volumetria esterna, ma investe l’intero organismo edilizio.
Infine, i giudici chiariscono che la responsabilità dell’abuso ricade anche su chi non l’ha realizzato. Non importa se l’opera è stata eseguita da un precedente proprietario: l’attuale titolare dell’immobile ha il dovere giuridico di sanare o rimuovere l’abuso. E ciò non rappresenta una sanzione penale, ma una misura volta a ripristinare la conformità dell’edificio alla normativa urbanistica. In questo senso, i richiami ai principi della CEDU risultano irrilevanti: la demolizione non è una punizione, ma una tutela dell’interesse pubblico.
Una sentenza quindi che, pur partendo da un caso concreto, ribadisce in modo efficace l’assetto normativo e giurisprudenziale che regola gli interventi edilizi, soprattutto nei contesti più delicati come i centri storici e le zone vincolate.
Conclusioni operative
La sentenza offre un chiarimento fondamentale per professionisti e operatori tecnici: chi acquista un immobile deve verificare con attenzione lo stato legittimo delle opere, soprattutto se si trova in un’area vincolata. Non basta essere estranei alla realizzazione dell’abuso per essere esonerati dalle conseguenze. L’abuso, se accertato, va rimosso a meno di casi particolari in cui è possibile sostituire la demolizione con una sanzione (c.d. fiscalizzazione che è però esclusa per gli abusi totali).
Non c’è tutela per l’errore di valutazione o per l’inerzia dell’amministrazione. Né il decorso del tempo né la mancata partecipazione al procedimento possono impedire la demolizione, trattandosi di un atto doveroso, vincolato e finalizzato al ripristino della legalità violata.
Infine, anche le opere interne, se realizzate in un immobile vincolato, possono determinare l’adozione di provvedimenti repressivi, senza necessità di un’ulteriore valutazione d’interesse pubblico.
Una decisione netta, che consolida l’orientamento giurisprudenziale e richiama tutti – tecnici, acquirenti, professionisti e pubbliche amministrazioni – al rispetto rigoroso della disciplina urbanistica e alla verifica della regolarità edilizia prima di qualsiasi compravendita.
Documenti Allegati
Sentenza Consiglio di Stato 18 giugno 2025, n. 5318